Il 'caso Satyricon'

La sera del 14 marzo 2001 su RAI 2 va in onda “Satyricon”, programma condotto dal comico Daniele Luttazzi. La puntata ospita il giornalista Marco Travaglio, autore de “L’odore dei soldi”, un libro scritto insieme a Elio Veltri, membro della Commissione Parlamentare Antimafia, che ripercorre la carriera di Silvio Berlusconi. Travaglio sintetizza il contenuto del libro. In particolare si parla: dei rapporti tra Marcello Dell’Utri, top manager della Fininvest, e Vittorio Mangano, boss mafioso noto come “Lo stalliere di Arcore”, che negli anni ’70 abitò proprio nella villa del Cavaliere e poi condannato all’ergastolo per gravi fatti di mafia; dei rapporti tra Berlusconi e Dell’Utri da un lato, e Totò Riina dall’altro; dei motivi che indussero Berlusconi a entrare in politica fondando “Forza Italia”, dopo che l’azione di “Mani Pulite” aveva cancellato i referenti politici che avevano garantito prosperità al suo gruppo imprenditoriale; dell’attentato del ‘93 a Maurizio Costanzo, fermamente contrario all’ingresso in politica del padrone di Fininvest; dell’intervista a Paolo Borsellino poco prima della sua morte, in cui il magistrato parla espressamente di indagini a carico di Berlusconi e il suo gruppo per fatti di mafia; della “legge Tremonti” che nel ’94, con Berlusconi a capo del Governo, consentì al gruppo Fininvest un risparmio di 250 miliardi di (vecchie) lire.

La trasmissione si rivela un duro attacco al candidato alla presidenza del Consiglio Silvio Berlusconi e ai suoi più stretti collaboratori. Ma è un attacco che si basa su fonti ufficiali: gli atti di indagine delle Procure della Repubblica di Palermo e Caltanissetta, in gran parte riassunti nella requisitoria del dott. Luca Tescaroli, pubblico ministero al processo d’appello per la strage di Capaci.

Silvio Berlusconi, ritenendo le affermazioni di Travaglio di una gravità inaudita, cita in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma Luttazzi, Travaglio, il direttore di RAI 2 Carlo Freccero e la stessa RAI, chiedendo il risarcimento dei danni, quantificandoli complessivamente in 21 miliardi di (vecchie) lire. Accusa i suddetti di averlo diffamato esclusivamente sulla base di “vaniloquenti teoremi di un PM”.

Il Tribunale di Roma respinge la domanda, affermando che “le riferite affermazioni del Travaglio sono da ritenersi esercizio di legittima critica politica”, in quanto ancorate “a fatti di sicuro interesse per l’opinione pubblica” e non risultando che “il Travaglio abbia mai spacciato per indiscusse verità le affermazioni fatte dal PM Tescaroli nella requisitoria resa al processo d’appello per la strage di Capaci […] avendo egli” nel corso dell’intervista resa a Luttazzi “espressamente precisato che si trattava di una requisitoria contenente 'spunti di indagine' e non di sentenza”. Quanto alle affermazioni sulla “legge Tremonti”, secondo il giudice le affermazioni di Travaglio “intesero unicamente sottolineare e denunciare all’opinione pubblica il noto problema del conflitto di interessi che da più parti si assume esistente rispetto all’attività di governo dell’on. Berlusconi in considerazione dei suoi rilevantissimi interessi economici”.

(Trib. Roma 14 gennaio 2006)
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La sentenza è condivisibile, poiché il Tribunale di Roma non ha fatto altro che applicare i principi in materia di diritto di critica, ritenendo che la puntata di “Satyricon” del 14 marzo 2001 abbia rispettato i requisiti di verità, interesse pubblico, continenza formale.

Dal punto di vista del requisito della verità, le affermazioni del giornalista Travaglio erano tratte dal suo libro “L’odore dei soldi”. Un libro che si basa interamente sugli atti di indagine delle Procure della Repubblica di Palermo e Caltanissetta, nonché sulla requisitoria del PM Tescaroli al processo d’appello di Palermo sulla strage di Capaci (quella che causò la morte del giudice Falcone). E’ chiaro, quindi, che si tratta di fonti ufficiali, come tali riproducibili pubblicamente.

Non c’è dubbio che la proposizione dell’argomento risponda ad un interesse pubblico. La collettività, infatti, ha il diritto di conoscere puntualmente le indagini svolte nei riguardi di un personaggio pubblico del calibro di Silvio Berlusconi. Di conoscere, cioè, le origini del suo immenso patrimonio e gli eventuali legami con personaggi di spicco della mafia.

Non si può nemmeno dire che Travaglio abbia condotto la critica con toni aggressivi e in violazione del requisito della continenza formale. Anzi, il tono del giornalista era pacato, tipico di chi preferisce far parlare i fatti. E lo stesso giornalista si è preoccupato, nel corso della puntata, di specificare che quei fatti non rappresentavano una verità assoluta, ma elementi emersi da indagini della magistratura. E’ vero, poi, che alcune volte (raramente, per la verità) Luttazzi ha fatto ricorso ad una certa dose di ironia. Ma si trattava di un’ironia più che altro di “appoggio” al tema dell’intervista, allo scopo di colorirla, come del resto accadeva in ogni puntata di “Satyricon”. Non certo per rafforzare le affermazioni fatte da Travaglio, vero protagonista della puntata. Tra l’altro, quando quest’ultimo si chiedeva come mai nessuno avesse mai parlato pubblicamente di quei fatti così gravi riguardanti il futuro presidente del Consiglio, era lo stesso Luttazzi a rispondere che “nessuno le riferisce probabilmente perché devono ancora essere dimostrate”.

Dunque, non si può negare che la puntata di “Satyricon” del 14 marzo 2001 si sia svolta nel rispetto del diritto di critica. Anzi, nel corso dell’intervista, Travaglio tratteneva, in realtà, le potenzialità tipiche del diritto di critica. Le accuse a Berlusconi e alla Fininvest, infatti, erano estremamente circostanziate. L’“attacco” a Berlusconi veniva condotto attraverso la narrazione di fatti tratti da fonti ufficiali pubbliche, quasi fosse cronaca; e non attraverso argomentazioni a sostegno di valutazioni personali, come accade sempre nella critica. Insomma, una critica a basso rischio di lesività. Travaglio, continuando a sottolineare che i fatti riferiti riguardavano indagini in corso, avrebbe potuto spingersi ben oltre, fino a mettere espressamente in dubbio l’opportunità che in un paese democratico, ma prima ancora civile, un candidato simile, indagato da due Procure per mafia ed altro, potesse presentarsi alle elezioni aspirando addirittura alla presidenza del Consiglio.

Non sarebbe rilevante valutare se la trasmissione abbia rispettato il requisito dell’imparzialità dell’informazione, considerato principio fondamentale da tutte le leggi in materia di radiotelevisione che si sono succedute. Ciò in quanto la conduzione non imparziale di un programma che tratta fatti riguardanti un personaggio pubblico, non può mai produrre una lesione dei diritti di quel personaggio, se i tradizionali requisiti di legittimità (verità, interesse pubblico, continenza formale) risultano rispettati. La violazione dell’obbligo di imparzialità riguarda il rapporto tra conduttore del programma ed ente di appartenenza (in questo caso la Rai) e può al massimo comportare l’applicazione di sanzioni disciplinari. Riguarda, cioè, il rapporto interno all’ente, o il rapporto tra ente e organi deputati a vigilare sul corretto funzionamento del sistema radiotelevisivo. Mai quello tra conduttore e destinatario della critica. Una diffamazione, o comunque una lesione dei diritti della persona, non può mai derivare dalla semplice violazione dell’obbligo di imparzialità. Proprio come non potrebbe mai tradursi in diffamazione una trasmissione incentrata sulla critica a un uomo politico e condotta in violazione della par condicio, potendo occasionare soltanto una sanzione della Authority per le Comunicazioni.

Qui basti dire che la violazione del requisito dell’imparzialità non può mai avvenire quando l’informazione si basa sulla verità (anche putativa) dei fatti. Quanto emerso durante l’intervista a Travaglio era tratto da fonti ufficiali: gli atti di indagine delle Procure della Repubblica di Palermo e Caltanissetta, in gran parte riassunti nella requisitoria del dott. Luca Tescaroli, pubblico ministero al processo d’appello per la strage di Capaci. Ma a diverse conclusioni (ma solo con riferimento alla questione dell’imparzialità) si dovrebbe pervenire se la trasmissione venisse trasmessa in tempi odierni, ossia dopo i provvedimenti (in gran parte illegittimi) della Commissione di Vigilanza e dell'Authority per le Comunicazioni, che in sostanza hanno imposto il rispetto del contraddittorio addirittura alla diffusione di notizie, limitando fortemente la libertà di informazione radiotelevisiva in Italia (sulla problematica si veda LA PAR CONDICIO).